domenica 30 dicembre 2007

Il pozzo senza fondo della politica italiana (III parte)

pan style="font-weight:bold;">Quirinale, 2000 dipendenti


Qual è il triangolo d’oro dei costi della politica? I costi diretti del funzionamento delle istituzioni, il finanziamento pubblico ai partiti e le scelte collegate alla gestione delle istituzioni pubbliche. I costi diretti sono noti e ci vengono sbattuti impunemente davanti agli occhi. Pochissimi dati: basti pensare al Quirinale. Tanto per cominciare, non sappiamo esattamente quanti dipendenti abbia e come spende le cifre – che dovrebbero essere intorno a 250 miliardi di vecchie lire – che sono la somma del bilancio di una città media come Bologna, di 400.000 abitanti. I dipendenti del Quirinale dovrebbero invece essere 2000, ma anche il numero è avvolto nelle nebbie.

Sono pochi o molti? Basta fare delle comparazioni. Alla Casa Bianca, dove il presidente è contemporaneamente capo dello Stato e del governo, i dipendenti sono – compresi cuochi, giardinieri e stagiste – intorno ai 400. In Irlanda, dove il Presidente della Repubblica ha funzioni simili a quello italiano, i dipendenti sono 12. Questo ovviamente si riflette su tutto il resto, a cominciare dai parlamentari europei, che guadagnano 149 mila euro all’anno contro i 10 mila degli ungheresi.
E teniamo conto che svolgono la stessa funzione e nelle stesse sedi geografiche.

La Camera dei Deputati costa un miliardo di euro all’anno, mentre quella spagnola costa un decimo. Un deputato italiano costa sei volte un deputato spagnolo, eppure svolgono le stesse funzioni. Anche la riforma costituzionale che è stata bocciata dal referendum aveva proposto una modesta riduzione di parlamentari da 945 a 752, che peraltro sarebbe entrata in vigore – udite, udite – nel 2016.

Un numero sempre sproporzionato se si pensa che con una popolazione enormemente maggiore negli Usa tra Congresso e Senato sono in tutto 540 e in Russia in totale i parlamentari sono 400, concentrati in una sola Camera.
In Italia, si registra anche un eccesso dei livelli istituzionali: per esempio, a cosa servono le 365 Comunità Montane che spendono 800 milioni di euro l’anno, se non per assegnare stipendi ad assessori e presidenti?

Ma il tema non attiene strettamente ai partiti (per quanto da questi direttamente derivi): possiamo consentirci di pagare un governatore della Banca d’Italia un milione di euro all’anno, quando il presidente della Federal Reserve statunitense costa 180 mila dollari ai contribuenti americani? È una cosa possibile?

E ancora: si sostiene che gli alti emolumenti garantiscano l’indipendenza dei nostri rappresentanti elettivi, ma posto per assurdo che sia così – e abbiamo visto comparando con il resto del mondo che non è così – questi privilegi e questi costi si estendono ope legis anche a commessi, segretari, bidelli che lavorano al Quirinale, alla Corte Costituzionale, alla Camera, al Senato e via dicendo?

Si tratta sempre di dipendenti della pubblica amministrazione, eppure percepiscono il triplo, il quadruplo, il quintuplo di quello che guadagnano coloro i quali svolgono le stesse funzioni nei comuni, nelle scuole, nei ministeri. Si sostiene che è una giungla retributiva: chissà creata da chi.

Il secondo lato del triangolo è rappresentato dal finanziamento pubblico ai partiti. Nel 1993, l’ultima occasione in cui si è raggiunto il quorum di votanti, ai referendum proposti dai radicali, i cittadini italiani risposero con chiarezza e senso di responsabilità, esprimendosi sulla responsabilità civile dei giudici, sulle iscrizioni sindacali, sulla legge elettorale per dare maggiore stabilità alle istituzioni e anche sul finanziamento pubblico ai partiti, abolendolo.

Tutti i provvedimenti consequenziali sono stati, uno a uno, vanificati e in particolare oggi il finanziamento pubblico è di gran lunga maggiore di prima. Infatti, solo nel 2005 il finanziamento pubblico ai partiti ha assorbito 196 milioni di euro più i 90 milioni di euro che vengono assegnati ai gruppi parlamentari. A questo va sommata una parte consistente dei quasi 700 milioni di euro rappresentati ai contributi statali all’editoria, che va ai giornali di partiti e sedicenti movimenti politici. Nel complesso, sono cifre importanti e sono queste che ingessano la democrazia.

E poi c’è il terzo pilastro, rappresentato dai costi collegati alle scelte – e spesso alle non scelte – politiche. Alcune decisioni ritardano processi, impediscono la liberazione di energie che rimangono invece utilizzate per mantenere rendite parassitarie e improduttive per la collettività, tranne che per i diretti beneficiari. Tutta la gestione politica e amministrativa alloca risorse e determina processi, successi e insuccessi economici di milioni di persone.

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