giovedì 31 gennaio 2008

Un nuovo George Best?


E' l'idea che già da tempo mi faccio... Cristiano Ronaldo è il vero erede di George Best? Anche ieri sera Ronaldo è stato decisivo, con la doppietta che ha permesso ai red devils di superare il Portsmouth. Ronaldo si è trasformato nel tempo, cambiando posizione in campo più volte nella sua carriera. Ha giocato come laterale di centrocampo, come centravanti e come ala. Sono più o meno le posizioi che prediligeva il buon vecchio George.

Oggi il Manchester, il mio grande amore assieme al Barcellona, vive delle sue giocate. "There's only one Ronaldo" cantavano i tifosi del Manchester nel 2003, dopo il debutto esplosivo del talento portoghese. Ora Ronaldo è il re dell'Old Trafford, e deve saper prendere per mano il Manchester e portarlo alla conquista della Champions. C.Ronaldo-Kakà, la nuova sfida stellare che spero di vedere presto. Qualcosa che somiglia a quel Best-Rivera nel 1969, nella duplice sfida in semifinale che vide il Milan superare a fatica il Manchester di Matt Busby, quello che risorto dalle ceneri di Monaco, aveva conquistato la coppa dei campioni l'anno prima.

Sfide stellari, sfide vere, di quelle che hanno fatto la storia del calcio. Questa parla portoghese. Come quella tra Eusebio e Pelè, le due perle nere del calcio anni '60. Una sfida quelle tra Kakà e Ronaldo che si baserà sulla tecnica e sulla velocità. Intanto Ronaldo continua a segnare come non ha mai fatto, anche se, forse, le difese inglesi non sono poi quel granchè in confronto a quelle italiane. Ma Ronaldo, ora come ora, sarebbe tra i primi in qualsiasi classifica marcatori del vecchio continente.

sabato 26 gennaio 2008

Voltiamo pagina


Dopo qualche giorno di riflessione e, di discussione, sono sempre più convinto (ma in realtà lo sono da tempo), che in Italia serva una svolta. Una svolta a livello di persone, senza distinzioni tra destra e sinistra. L'Italia è stanca, vuole una politica che rispecchi i veri problemi del paese, che sappia ascoltare il paese.

Oggi non mi voglio addentrare su discorsi inerenti all'economia o quant'altro. Oggi voglio fare una piccola riflessione riguardo agli uomini, a ciò che può dare di nuovo la politica italiana. Non penso difatti che un nuovo governo Berlusconi porterebbe vantaggi al nostro paese. C'è bisogno di idee nuove, di persone nuove. Non abbiamo bisogno di un Berlusconi bis o tris.

E allora chi può aiutare questo paese? Bè, io direi che il politico che in questi ultimi tempi (parliamo di 2 anni a questa parte) ho sentito più attaccato ai contenuti che non a discorsi è senz'altro Antonio Di Pietro, al quale andrà il mio voto alle prossime elezioni. Di Pietro, pur con un fare pittoresco e originale, ha sempre un approccio costruttivo alla discussione. Ed è proprio così che un politico deve essere. Di Pietro è uno che i finanziamenti li ferma, è uno che è diverso il mezzo a quell'accozaglia di cafoni strapagati che sono dentro al parlamento.

Magari non avrà le fattezze, l'eleganza di altri politici, ma ho deciso di interpretare queste sue carenze come una dimostrazione di un'origine non sicuramente altolocata. Che sia lui l'uomo nuovo di cui la politica italiana ha bisogno? Non lo so. Sicuramente è una persona che sa quello che deve fare, pratica, come piace a me. D'ora in avanti farò il tifo per lui.

venerdì 25 gennaio 2008

La republica de los platanos


Dare una spiegazione di ciò che accade in Italia è piuttosto difficile. E' pressocchè impossibile spiegarlo in un paese straniero. Come fai a spiegare la fragilità dei governi, le 9600 guardie forestali in Calabria, i 5-6 vecchi che tengono su il paese in senato, la spazzatura a Napoli, Cuffaro in Sicilia... Come si fa?

Vedendo un senatore che sputa, l'altro che spruzza lo champagne in testa agli altri, l'altro che dice "non riesco a parlare", Marini improvvisamente mi è sembrato quantomai simile ad Aldo Biscardi. Lì, seduto, in mezzo ad una baraonda generale dove la regola è gridare più forte degli altri. Siamo al degrado più totale. Non c'è stabilità, non c'è un uomo nuovo, una speranza. C'è solo della gran confusione. Più di 900 bambinoni strapagati che si fanno i gavettoni con lo champagne, che si menano (tra l'altro con stili di combattimento improponibili) e soprattutto che urlano.

Le urla, le grida. Quelle che i vari Riotta e compagnia bella condannano quando l'argomento è "Beppe Grillo". Comoda, decisamente comoda. Io vorrei sentire se sia meglio sentir gridare Grillo riguardo a problemi seri del paese o vedere 10 pensionati fare una rissa in un luogo come il Parlamento italiano.

Ieri il parlamento italiano ha dato il peggio di sè. Il .processo di Biscard è l'unica "cosa" sulla faccia della terra che possa avvicinarsi a quei livelli. Con la differenza che parlare al lunedì di un fuorigioco, non è sicuramente come dover decidere se far cadere o meno un governo.

giovedì 24 gennaio 2008

La sfida di Fernando


Fernando Alonso non mi è mai piaciuto. Come persona, capiamoci. Il pilota non si discute: aggressivo, forte anche sotto pressione, discretamete veloce, ma soprattutto bravissimo nel sfruttare al massimo le occasioni. Alonso non ha mai stradominato un mondiale, on come faceva Schumache r perlomeno. Non ha neanche mai vinto più gare degli altri piloti (Raikkonen e Schumacher ne vinsero quanto lui quando lo spagnolo diventò campione del mondo nel 2005 e nel 2006), ma è sempre stato tra i primi. E il meccanismo dei punti premia chi rischia meno di altri, chi riesce a portare la macchina al traguardo.

Fernando Alonso è esploso in occasione del cambio dei regolamenti del 2005, quando per fermare lo strapotere di Schumacher si arrivò a disintegrare totalemente il concetto di "Formula 1". La gara diventò in quell'anno una competizione dove il vincitore era chi gestiva meglio le gomme, chi aveva la fortuna di avere una macchina affidabile sotto il culo. non vinceva più il rischio, chi oava più di altri. Ed emerse il fenomeno "Alonso", ingasato dalla stampa del suo paese (un agglomerato di incompetenti) da Flavio Briatore (si sa: "no Braitore, no marketing") e da Bernie Ecclestone stesso, smanioso di trovare un alternativa al Kaiser Schumi.

Ma qualcosa non funzionò. La stagione 2006 doveva essere l'apoteosi per Fernando. La conferma della nascita di una nuova stella nella storia della Formula 1. Alonso vinse effettivamente il titolo nell'anno, ma non lo vinse per i tifosi. Vinse grazie ad aiuti probiti come il mass dumper, grazie alla fortuna di vedere il motore di Schumacher andare in fumo in Giappone quando il tedesco gli stava dando l'ennesima lezione. Per la gente quello fu l'ottavo mondiale di Schumacher.

Uno Schumi che molti avevano dato per finito dopo l'orrenda stagione 2005 (conclusa comunque al 3° posto in classifica generale), ma che, dopo aver faticato a colmare il gap delle prime gare, aveva cominciato a massacrare il torero Fernando ad ogni occasione. Schumacher vinse il suo ottavo titolo in Brasile, quando concluse 4° dopo una rimonta clamorosa.

Alonso passò quindi alla Mc laren, si interessò con grande passione ai progetti della Ferrari come testimoniò (in pratica ha rubato e lo hanno beccato con le mani nella marmellata), fu umiliato in più occasioni dal compagno di squadra Lewis Hamilton, uscito dall'asilo il giorno prima, ma già più veloce del fenomeno spagnolo.

Fenomeno che, in Spagna, continua ad essere considerato tale. Nonostante i continui pianti ("¡ Dennis no me quiere !"), le continue cazzate (" Si me entreniera un poco en moto, seria màs rapido de Valentino Rossi tambien ", salvo poi ritrattare quando Rossi lo sfidò apertamente: " Va bene, facciamo un giro in macchina e uno in moto poi sommiamo i tempi". Il torero deve ancora dare risposta.), le ladrate (il mass dumper, i regolamenti...), il compagno di squadra neonato che va più forte di lui...

E allora il fenomeno è tornato all'ovile. Alla Renault. La stampa spagnola, compatta come non mai, dopo aver dipinto Hamilton come il cattivo e Alfoncito come il buono, già parla di vittoria del mondiale. Vedremo. Intanto auguro ogni possibile fortuna ad Alonso.

Come fa a non esservi simpatico uno così?

lunedì 14 gennaio 2008

Beautiful songs: Sta passando novembre/Eros Ramazzotti

E’ per te
questo bacio nel vento,
te lo manderò lì
con almeno altri cento.
E’ per te,
forse non sarà molto,
la tua storia, lo so,
meritava più ascolto
e magari, chissà,
se io avessi saputo,
t’avrei dato un aiuto.
Ma che importa oramai,
ora che…
Puoi prendere per la coda una cometa
e girando per l’universo te ne vai,
puoi raggiungere, forse adesso, la tua meta,
quel mondo diverso che non trovavi mai.
Solo che
non doveva andar così,
solo che
tutti ora siamo un po’ più soli qui.
E’ per te
questo fiore che ho scelto,
te lo lascerò lì
sotto un cielo coperto.
Mentre guardo lassù,
sta passando novembre
e tu hai vent’anni per sempre.
Ora che…
puoi prendere per la coda una cometa
e girando per l’universo te ne vai,
puoi raggiungere, forse adesso, la tua meta,
quel mondo diverso che non trovavi mai…
non trovavi mai…
puoi raggiungere, forse adesso, la tua meta,
quel mondo diverso che non trovavi mai.
Solo che non doveva andar così,
solo che tutti ora siamo un po’ più soli…
tutti ora siamo un po’ più soli qui…
è per te.

venerdì 11 gennaio 2008

Second Life world (I parte)

da repubblica.it

Annuncio ufficiale sul blog della Linden Lab: "Dal 22 gennaio 2008
sarà proibito distribuire interessi senza una certificazione ufficiale"


Second Life cancella le banche
Finisce l'era dei super-interess
i

Preoccupati gli utenti-avatar che hanno trasformato i dollari veri in linden dollar
Nel crack della Ginko Financial svanirono nel nulla circa 750 mila dollari reali
di GIOVANNI GAGLIARDI


ROMA - Banche al bando su Second Life. Linden Lab ha deciso di chiudere buona parte degli istituti presenti in quello che è considerato il più grande mondo virtuale online. La mossa, a sorpresa, è stata comunicata sul blog ufficiale del portale con un esplicito invito ai cittadini a rientrare in possesso dei loro soldi. Ma dopo il crack della Ginko Financial, c'è chi teme per i propri risparmi (reali e virtuali).

"Dal 22 gennaio 2008 sarà proibito distribuire interessi come frutto di investimenti (sia in Linden dollar che altra valuta) - recita il comunicato - tramite ogni postazione, come ad esempio ATM (Bancomat), presente su Second Life, senza la prova di una valida registrazione governativa o la certificazione ufficiale di un istituto finanziario".

Con un dollaro si possono ricevere 185 linden dollar (L$), moneta ufficiale di Second Life, al cambio odierno presso la borsa ufficiale LindeX o presso uffici cambio non regolamentati creati da giocatori intraprendenti. Ma in passato il cambio è arrivato fino a 320 linden per un dollaro. L'economia del metaverso, è stato valutato, ha un pil che di 550 milioni di dollari, all'incirca quello della Liberia e più alto di quello di una ventina d'altre nazioni. Secondo Tristan Louis della banca Hsbc, i residenti attivi spendono in Second Life tra i 50 e i 60 dollari la settimana. Attualmente, secondo la relativa voce di Wikipedia, parteciperebbero alla creazione del mondo di Second Life oltre 400.000 utenti attivi di tutto il pianeta (oltre 11 milioni totali se si considerano gli utenti registrati, il che comprende gli utenti inattivi).

La decisione adottata dai responsabili di SL è stata presa sulla falsariga di quella per il gioco d'azzardo, ed è stata quasi inevitabile dopo due anni di anarchia finanziaria, fra truffe, piani di investimento fasulli e interessi gonfiati, con la proliferazione di istituti di credito nel mondo virtuale, che offrivano anche il 60% di interessi su base annua. Il tutto senza rete. E con delle impreviste brutte sorprese nel passaggio tra la realtà virtuale a quella reale.

Un anonimo residente, raccontano le cronache, ha provato ad approfittare dei tassi di interesse da favola, investendo l'equivalente di circa 10.000 dollari Usa in Linden. Ma quando ha provato a ritrasformare la moneta virtuale in moneta sonante, ha avuto la doccia fredda di scoprire che il guadagno in biglietti verdi si aggirava appena intorno al 4%. Quello che avrebbe potuto ottenere investendo lo stesso denaro, e con maggiori garanzie, nella real life.

Insomma, arricchirsi su Second Life è, da sempre, faccenda difficile e per pochi. Secondo le stesse statistiche economiche pubblicate dal sito, decine di migliaia di residenti hanno un flusso di linden dollar positivo, ma nella maggior parte dei casi si tratta dell'equivalente di pochi dollari. I Paperoni, cioè con un flusso positivo per più di 5.000 dollari, alla fine sono poco più di un centinaio, su 4 milioni di residenti. Senza considerare quelli che poveri lo sono diventati davvero: la scorsa estate, il fallimento della banca virtuale Ginko Financial ha fatto svanire nel nulla i 200 milioni di linden dollar (circa 750 mila dollari reali) dei suoi clienti-avatar.

Ma c'è di più. Alcuni detrattori sostengono che la struttura economica del metaverso assomiglierebbe ad uno schema piramidale, in cui gli unici a guadagnare sono i programmatori e i primi residenti, grazie al denaro messo in circolo da chi è arrivato più tardi. E sono volate persino accuse di insider trading quando un cambiamento dei prezzi dei terreni è stato preceduto da consultazioni tra i responsabili dei Linden Lab e i soli più grandi proprietari terrieri.

Qualche economista ha anche osservato che Linden Lab si è ritagliata poteri simili a quelli di una banca centrale, per mantenere la stabilità del cambio tra linden e dollari americani. Ma la crescita continua del metaverso ha fatto sì che la "Second Life bank" abbia creato, e quasi mai distrutto, moneta. Dunque i Linden Lab hanno incassato dollari veri nella real life ed emesso linden dollar nella Second Life. Ma ora cosa accadrà?

Numerosi utenti sembrano essere soddisfatti dell'iniziativa di mettere le banche al bando, ma alcuni sono preoccupati dal fatto che questa repentina operazione di "pulizia" possa far scomparire immediatamente agenzie virtuali e capitali investiti. E c'è chi, come JT Financial, è stato messo sotto assedio da parte dei suoi correntisti-avatar che vorrebbero prelevare ogni capitale investito.

Di fronte al crescente nervosismo degli utenti-investitori, i moderatori hanno rivolto un appello ai gestori delle banche, affinché restituiscano i soldi ai loro clienti prima della chiusura definitiva. I trasgressori saranno puniti con la sospensione dei loro account e, nei casi più gravi, con la confisca delle terre e la radiazione dal mondo virtuale. Basterà?

sabato 5 gennaio 2008

Il giornalismo partecipativo: cos'è?

Rispetto al passato l'assenza di informazione dai media tradizionali si avverte di meno e, per chi naviga abitualmente in Rete, non si sente affatto. Si sta avverando la profezia di Nicholas Negroponte che, nel suo libro del 1995: "Being Digital", scrisse che l'informazione on line avrebbe presto dato ai lettori la possibilità di scegliere i contenuti di loro interesse.
In Rete questa opportunità è offerta da centinaia di migliaia di siti informativi e di blog.

Un termine associato al cambiamento in atto è: "participatory journalism", giornalismo partecipativo, definito come: "L'atto di un cittadino, o di un gruppo di cittadini, che ha un ruolo attivo nel processo di acquisire, analizzare e diffondere l'informazione. L'obiettivo ultimo è di fornire un'informazione attendibile, consistente e accurata, come richiesto in una democrazia".

Un esempio è rappresentato da uno dei più importanti siti informativi del mondo: il sud coreano www.OhmyNews.com, che ha più di due milioni di lettori al giorno; risultato ottenuto grazie alla pubblicazione degli articoli di decine di migliaia di giornalisti "accreditati" in quanto registrati sul sito. Il giornalismo partecipativo in rete ha due vantaggi: la quantità di informazione prodotta e la sua rapidità di pubblicazione.

L'obiezione che normalmente si muove è che le informazioni non sono validate prima della loro pubblicazione. Una ipotesi che però non è praticabile in rete sia per la mole enorme di contenuti che vengono continuamente creati, sia per la necessità di pubblicare nuove informazioni nel più breve tempo possibile. Lo scambio di informazioni in rete è simile a un dibattito nel quale ognuno è libero di fornire la propria opinione, o di dare delle notizie, senza vincoli editoriali o commerciali. Il giudizio sull'attendibilità e sulla validità delle notizie pubblicate è dato dai lettori, non dall'editore.

Clay Shirky, professore della New York University, noto per le sue teorie sull'evoluzione dell'informazione ha detto: "Nell'informazione tradizionale, o broadcasting, la sequenza è: "filtra, quindi pubblica", nelle comunità in rete è: "pubblica, quindi filtra".

La cosiddetta blogosfera, l'insieme dei blog presenti in rete, può essere considerata a sua volta un'enorme forma di giornalismo partecipativo. I blog hanno superato i 23 milioni e sono collegati tra loro dai link che collegano le notizie pubblicate ritenute piu' importanti.
Al verificarsi di una catastrofe o di una notizia di assoluta rilevanza mondiale, nelle blogosfera si scatena un "blogstorm", letteralmente una tempesta di blog, che si manifesta con milioni di notizie, fotografie e filmati contemporanei, relativi all'evento.
Blogstorm sono avvenuti per l'attacco alle Torri Gemelle, per le elezioni presidenziali americane, per gli attentati di Londra. Alcuni tra i piu' importanti blog sono basati sulla libera contribuzione degli utenti, come ad esempio www.PostSecret.com, che occupa la seconda posizione mondiale per i blog, dove le persone possono inviare anonimamente i loro segreti scritti su una cartolina digitale di loro creazione.

I blogger, coloro che scrivono sui blog, sono da qualche tempo accreditati, come giornalisti a congressi, seminari e manifestazioni, durante i quali scrivono e pubblicano in tempo reale i loro pezzi, come è avvenuto durante le primarie democratiche negli Stati Uniti.

In futuro potrà verificarsi la situazione in cui chiunque sarà, allo stesso tempo, giornalista e lettore.

venerdì 4 gennaio 2008

Beautiful songs: Una canzone per te/ Vasco Rossi

Una canzone per te
non te l'aspettavi eh!
invece eccola qua
come mi è venuta
e chi lo sa
le mie canzoni nascono da sole
vengono fuori già con le parole
Una canzone per te
e non ci credi eh!
sorridi e abbassi gli occhi
un istante
e dici "non credo di essere
così importante"
ma dici una bugia
e infatti scappi via

Una canzone per te
come non è vero sei te!
ma tu non ti ci riconosci neanche
lei è troppo chiara
e tu sei già troppo grande
e io continuo a parlare di te
ma chissà pure perché

Ma le canzoni
son come i fiori
nascon da sole
e sono come i sogni
e a noi non resta
che scriverle in fretta
perché poi svaniscono
e non si ricordano più

mercoledì 2 gennaio 2008

Radio libere: la testimonianza di chi c'era.

Per cercare di capire la realtà attuale di internet e la possibile rivoluzione alla quale questa struttura tecnologica può portare, è bene dare uno sguardo al passato, con l'aiuto di chi all'epoca c'era. Un sentito grazie a Mauro Costa.

"Amo la radio perchè arriva dalla gente,
entra nelle case e ci parla direttamente,
e se una radio è libera, ma libera veramente,
mi piace ancor di più perchè libera la mente."

Uno dei pezzi più leggerini della vecchia produzione di Eugenio Finardi descrive perfettamente lo spirito delle radio pionieristiche Italiane. Non facciamo mai troppo caso alle denominazioni perciò, oggigiorno, se qualcuno parla di radio libera o radio privata tende ad accorparne il significato riducendoli a sinonimi.

Sbagliato! La radio "libera" di allora non aveva niente a che spartire con la radio"privata" odierna; casomai, se proprio vogliamo trovare un parallelo, la radio libera ha molta più attinenza con l'avvento dei primi siti internet; negli anni settanta, chiunque avesse un'attrezzatura ai limiti dell'osceno ed alcuni dischi faticosamente comprati o prestati da amici poteva avere il suo piccolo spazio, che sovente non andava al di fuori del recinto condominiale o poco più, per trasmettere il proprio pensiero, ma soprattutto il proprio entusiasmo.

L'effetto "macchia d'olio" fu devastante e di clamorose proporzioni. Ogni quartiere d'ogni piccola città aveva la sua radio personale e il volto del "dj" aveva le sembianze di quello di un vicino di casa o di un amico con cui avevi giocato a pallone fino il giorno prima. Chi era dotato d'apparecchiature leggermente più professionali, poteva permettersi, agli albori felici di un etere non intasato, di coprire chilometri e chilometri di spazio, raggiungendo anche zone lontane dal punto di trasmissione. La freschezza, l'entusiasmo, la "voglia di trasmettere" di queste radio erano le loro armi vincenti ma anche il loro limite, poiché alla fine degli anni settanta, chi aveva qualche idea buona doveva alla fine inevitabilmente scontrarsi con la logica di mercato.

Ecco dunque che alcune radio, foraggiate a dovere da investitori lungimiranti e dotandosi di potenti trasmettitori, riuscivano ad ottenere delle coperture territoriali importanti; l'immediato vantaggio era dato dal crescente numero d'ascoltatori che, dopo la novità di poter spaziare a piacimento tra la miriade di voci libere, andava ricercando la radio che meglio si poteva sintonizzare agendo sulla manopola della modulazione di frequenza; il prezzo da pagare era quello di dover concedere spazi sempre maggiori alla pubblicità e di modificare la voce da libera a semilibera, fino al completo stravolgimento in totale servilismo pena l'esclusione dalla creatura ideata e portata avanti con passione.

Non credete che anche oggi si possa notare lo stesso andamento con Internet?
Non è forse internet la nostra maggior espressione di libertà, ma anche il nostro maggior rischio?

A metà degli anni '70 esplose quindi l'accaparramento alla frequenza.

Persino oggi è difficile dire con assoluta certezza quale fu la prima radio libera in Italia, tanto fu generale e uniformemente distribuita in tutta la penisola l'esigenza di far sentire la propria voce; una vecchia edizione del Corriere della Sera, riportando la notizia in bell'evidenza, ci soccorre nella nostra ricerca cronologica: "Ieri prima trasmissione di una radio clandestina.

L'emittente si chiama Milano International ...." (Corriere della Sera - 11.03.75); ed è sempre un giornale a tiratura nazionale che c'informa che queste radio libere davano un enorme fastidio al governo di allora, ma anche all'opposizione: "Sequestrata dal pretore di Milano Radio Milano International.

La prima emittente radiofonica milanese trasmetteva dal 10 marzo. Ieri irruzione di una squadra dell'Escopost nella sede della stazione. Le operazioni di disattivazione seguite in diretta da migliaia di radioascoltatori". (La notte - 14.04.75); infine la prima sentenza di assoluzione che legittima, senza possibilità di appello pena un gran bagno di sangue, che le radio libere potevano far sentire la loro voce: "Assolta Radio Milano International. Legittima la produzione di programmi privati". (La Stampa - 26.04.75).

Tutto questo in poco più di un mese di tempo, un vero record se ben andiamo a vedere! Fermare le voci "libere" di allora sarebbe stata una dichiarazione d'impotenza da parte del nostro stato, già tanto provato dal terrorismo e da scandali giornalieri; come giustamente rileva Giorgio Gaber in un suo lavoro teatrale del 1972: "..la libertà di espressione è la misura della loro potenza: ti lasciano il tuo spazio libero, quello che chiamano libertà, senza che si abbia la possibilità di modificare o sovvertire qualcosa; in altre parole: non si riesce mai a dar fastidio a nessuno!"

Qualche radio però, in realtà, cominciava a dare fastidio a molti non trovando appoggi né al centro e nemmeno a sinistra perché la sinistra stessa aveva paura di un informazione così tanto libera da spianare una comoda strada all'ingresso di ulteriori padroni ,come, in effetti, accadde in seguito con la lottizzazione delle frequenze e il progressivo sfruttamento commerciale del prodotto già confezionato e gratuitamente distribuito; soprattutto però il PCI aveva timore che una voce troppo libera e incontrollata poteva cominciare a corrodere quella sicurezza di potersi identificare come unico punto di riferimento a difesa delle classi proletarie italiane.

A pagare per tutti fu una radio bolognese, la meno difendibile, la più anarchica, incontrollabile persino all'interno di se stessa: Radio Alice. I giornali dell'epoca riportarono la notizia con la dovuta enfasi, rilevando persino un velato tentativo di golpe dittatoriale: 12 marzo 1977. Finisce con l'irruzione dei carabinieri la breve storia di Radio Alice, accusata di aver diretto via etere gli scontri di Bologna. Due anni appena è durata la vita della più celebre "radio libera" italiana, ma sono due anni che lasciano il segno. È la prima (e unica) volta, nella storia dell'Italia repubblicana, che una testata editoriale viene chiusa manu militari".

Per zittire, quindi, una voce libera, la si poteva solamente accusare di fomentare il terrorismo, unica motivazione per non suscitare lo sdegno popolare. Persino oggi è difficile poter dire cosa fosse realmente Radio Alice: non aveva una vera e propria redazione, ma soprattutto non aveva un padrone identificabile con un nome e un cognome; chiunque avesse qualcosa, o anche niente da dire, poteva appropriarsi del microfono, del trasmettitore e fare un comunicato delirante, piuttosto che un assolo di sax, una dichiarazione d'amore alla fidanzata o a Elvis Presley, semplicemente leggere una poesia o persino stare in silenzio di fronte al microfono.

Non c'era alcun limite, alcun moderatore, alcun autocontrollo, alcuna censura. Questa radio, dava molto più fastidio di tutte le altre messe insieme. La si ridusse al silenzio quella notte del 12 marzo 1977 e si scomodarono, la stessa notte, persino i carroarmati per controllare il centro di Bologna ; la prima volta nella storia dell'Italia Repubblicana che una "testata" d'informazione viene chiusa dalle forze dell'ordine. Roba da brividi, a pensarci bene.

L'anarchica Radio Alice ebbe certamente proseliti, ma questo è solo un piccolo microcosmo nel meraviglioso universo tessuto unicamente della "sensazione di poter far tutto" che si respirava in quegli anni. Ognuno poteva provarci, in fondo, bastavano una voce, quattro dischi, qualche idea....

Avevo un mio piccolo spazio notturno nella seconda metà degli anni '70 in una piccola, ma puntualmente ambiziosa radio genovese, con una trasmissione musicale di circa un'ora e mezza che cominciava alle 22, cinque giorni la settimana, weekend escluso. Avevo modellato il programma in conformità a Popoff, ma trasmettevo solo musica progressiva o cantautoriale; una volta al mese stilavo la mia personale controclassifica inerente alle nuove uscite degli album che mi andavano a genio, sordo a tutte le tendenze del momento.

Mi piaceva tradurre le liriche degli artisti stranieri che spesso declamavo prima dell'inizio del brano, ma allo stesso tempo mantenevo un tono di voce molto rilassante, tranquillo, notturno; ricevevo molte telefonate, ma non ne passavo alcuna in diretta, non accettavo dediche per chicchessia neanche se erano amici carissimi e soprattutto non mettevo pezzi a richiesta.

La mia libertà era quella: il programma era il mio, prendere o lasciare, nessun compromesso, altrimenti si poteva girare la rotellina della radio e nello spazio di due millimetri una voce più suadente, gioiosa e professionale della mia avrebbe diversamente allietato la notte dell'ascoltatore.

Avevo il classico "zoccolo duro" che seguiva costantemente il programma, ma la totale decadenza del rock progressivo e la mia cocciutaggine poco incline al compromesso non consentivano alla trasmissione di decollare. Una sera mi convocarono prima dell'inizio della trasmissione e mi dissero: " Pensiamo che potresti mettere qualche pezzo più commerciale di tanto in tanto, che facessi qualche dedica prendendo telefonate in diretta, eppoi, soprattutto, ogni mezz'ora dovrebbero partire due o tre jingle, che ne dici?"
"Dico no, ma vorrei sapere se è un consiglio o un'imposizione" chiesi sapendo già la risposta.
"E' un'imposizione, ci spiace".

La sigla finale della mia trasmissione era Pink Moon di Nick Drake che, all'epoca, non potevo prevedere sarebbe stata degradata di lì a poco anch'essa a jingle pubblicitario; l'avevo scelta perché, oltre ad essere un splendido brano, rappresentava l'ostinazione di un artista al rifiuto del compromesso ad ogni costo, fino a pagare con la vita il fatto stesso di essere nato in un mondo dove non si riconosceva: con che faccia avrei potuto accettare quello stravolgimento redazionale?

"Benissimo" risposi non senza amarezza" allora quella di stasera sarà la mia ultima volta, ma manterrò fino in fondo la struttura originale del programma". Credo in tutta onestà, oggi, di poter ammettere che a stento ho trattenuto un gran magone sulle note finali di Pink Moon quella notte.

Non era per la mia trasmissione, non era per la memoria del grande Nick Drake e nemmeno per il menefreghismo e l'insensibilità dei proprietari (all'epoca ero troppo giovane per capire che i soldi non danno la felicità, ma comunque la sfiorano e soprattutto possono fortemente minare un'amicizia); ero frustrato perché pagavo sulla mia pelle la trasformazione in un network commerciale di quella radio, che era anche la "mia" radio, nata con ben altri propositi. Eppoi c'è ancora qualcuno che pensa che "libera" e "privata", riferiti ad una stazione radiofonica, siano solamente due modi di dire la medesima cosa.

"L'ho visto scritto e l'ho sentito dire
la luna rosa è in arrivo
e nessuno di voi può arrivare così in alto
la luna rosa vi prenderà tutti quanti".
(Pink Moon by Nick Drake)

Mauro Costa

martedì 1 gennaio 2008

Il pozzo senza fondo della politica italiana (V e ultima parte)

Democrazia: ma quanto costi?


Bisogna allora dare spazio al merito e alle capacità individuali e quello che realmente conta è l’educazione alla democrazia. Nello scenario che abbiamo di fronte si pone l’inevitabile tema: riformismo o rivoluzione?

Il problema sta diventando fortemente economico. Infatti, le due rivoluzioni che hanno dato origine all’evo contemporaneo – quella americana e quella francese – sono entrambe sorte per problemi economici. La rivoluzione americana del 1778, scoppiò al grido di «No taxation, without representation». E come, e da chi, si possono sentire rappresentati i migliaia di giovani laureati che ogni mese produciamo nelle nostre università, a fronte dell’inesistenza di sbocchi occupazionali nei prossimi anni? Oppure essendo sottopagati e con prospettive di miglioramento remote, costretti ad assistere a una corte di Versailles, rappresentata dal mondo politico, che si estende oggi allo stesso modo nelle regioni che assorbono risorse in modo assolutamente ingiustificato rispetto alle prestazioni erogate? Anche lo scoppio della Rivoluzione francese ha avuto ragioni economiche e fiscali.

A Versailles, Luigi XIV aveva riunito la nobiltà soprattutto per controllarla ed evitare le fronde, ma due secoli dopo il costo era diventato eccessivo rispetto alla funzione sociale che i nobili assolvevano. Lo scontro nei prossimi anni sarà dunque tra chi i soldi allo Stato li dà e chi, invece, dallo Stato li prende.

C’è un concetto importante avanzato da Robert D. Steele che prima dell’11 settembre 2001 proponeva una riforma dell’intelligence americana, avendo già compreso che essa era assolutamente incapace di fronteggiare le nuove minacce. La prima proposta era non a caso quella di ridurre i finanziamenti ai servizi segreti, perché così le organizzazioni sono costrette a rivedere il proprio funzionamento e a ottimizzare le risorse in funzione degli effettivi risultati.

Tra l’altro la storia ci insegna che le burocrazie non si autoriformano mai da sole. E la burocrazia politica fa meno eccezione delle altre. Concludendo, esiste allora un rapporto tra costi della politica, selezione della classe politica e prestazioni della democrazia? Io credo di sì, ritengo che ci sia un rapporto, ma lo pongo in modo problematico.

Quindi, secondo me, bisognerebbe indurre, quasi costringere, a riformarsi. E chi può farlo? A mio avviso, lo può fare solo la massa di laureati che stanno uscendo e usciranno dalle università italiane. Infatti, si tratta di generazioni senza prospettive concrete, a prescindere dalla preparazione che si trovano ad avere e della quale non sono certamente responsabili ma è frutto di un sistema che privilegia i numeri rispetto alla qualità.

Sebbene complesse e incerte, si possono ipotizzare soluzioni. Gli strumenti potrebbero essere tanti: la costituzione di think tank; l’esplosione dei blog; la limitazione dei mandati alle elezioni (per i sindaci si è stabilito il numero di due ed è anche un bene, sarebbe però meglio valesse per tutti, anche perché della gran parte dei parlamentari e dei consiglieri regionali gli italiani farebbero volentieri a meno anche dopo averli visti all’opera per una sola volta: ma esprimo una semplice opinione personale); i referendum abrogativi, costringendo il legislatore a ritornare sulla norma.

Per esempio, se con un referendum aboliamo la norma che prevede il numero dei consiglieri regionali o il loro appannaggio, obblighiamo a legiferare di nuovo sull’argomento. Capisco bene che è un percorso faticoso ma è pur sempre una possibilità, un’opportunità. Occorre allora portare all’interno della politica questioni di metodo e di contenuti, e non solo di appartenenza. Infatti, oggi il problema non è destra o sinistra.

Sembra di vivere le parole che John Le Carrè, ne La spia che venne dal freddo, fa dire a uno dei suoi personaggi, riferendosi ai due blocchi occidentale e sovietico: «Siamo tutti uguali, sapete: ecco dove sta la beffa». L’impressione che spesso si ha è proprio questa, perché nei comportamenti concreti è così. Basta vedere come vengono votate le leggi che hanno determinato le distorsioni di cui abbiamo parlato, dal numero dei consiglieri regionali alle indennità dei parlamentari, dal finanziamento dei partiti a quelli sull’editoria

Diceva Enzo Biagi: «Quando si tratta di cattive figure, noi raggiungiamo quasi sempre l’unanimità».