sabato 29 dicembre 2007

Il pozzo senza fondo della politica italiana (II parte)

Cos’è che non va


Due temi oggi vanno risolti, al di fuori dei luoghi comuni: il federalismo e il costo della politica.

Il primo lo stiamo, ovviamente, declinando «all’italiana». Infatti, il federalismo dovrebbe comportare che, a maggiori poteri, corrisponde maggiore senso di responsabilità da parte delle classi dirigenti. Avviene invece esattamente l’opposto. Qualche dato: il debito degli enti locali dal 2000 al 2004 è quasi raddoppiato, passando dal 3% al 5,30%. La spesa dal 1999 al 2004 è aumentata del 32,5% nelle regioni, del 57% nelle province – enti praticamente inutili – e del 23% nei comuni. Il debito delle regioni nel quadriennio 1999-2003 è aumentato del 100%.

E la tendenza è questa ed è in aumento. Non a caso c’è chi come Sabino Cassese, Antonio Maccanico e Geminello Alvi parlano dello sfascio rappresentato dalle regioni. Cassese, in una serie di articoli sul «Corriere della Sera» nel 2004 e nel 2005, sostiene giustamente che si sta riflettendo sui poteri da trasferire alle regioni senza discutere su come le regioni siano attrezzate per assolverli. Non a caso, propone di fondare il federalismo partendo dai comuni più che dalle regioni.
Maccanico, nel libro di Roberto Napoletano “Fardelli d’Italia” dice che una delle quattro-cinque ragioni che hanno rovinato l’Italia è stata l’istituzione delle regioni.

E poi, nell’ultimo libro di Geminello Alvi, “UNa Repubblica fondata sulle rendite”, si sostiene addirittura di abolire le regioni, sostituendole con dimensioni territoriali ottimali e meno sprecone. Assume finalmente rilevanza il concetto di responsabilità e dei conseguenti costi della politica. Sarebbe tragico considerare il problema del costo della politica rubricandolo nella voce «sprechi» oppure nella direzione dei compagni che sbagliano, o, peggio, identificare ancora questo tema in un ambito qualunquistico, moralistico, populistico, alla Guglielmo Giannini o alla Pierre Poujade, offrendo così facili argomenti ai diretti beneficiari.

A mio avviso, invece, il costo della politica è un elemento strutturale che determina, in Italia, la crisi della democrazia perché contribuisce a individuare una classe dirigente assolutamente inadeguata. Pertanto, si tratta di un tema legato alle effettive prestazioni della democrazia, essendone contemporaneamente causa ed effetto. Non è questo l’unico problema che abbiamo, ma è indiscutibilmente un problema, ed è un problema notevole.

Negli Stati Uniti ci sono due correnti di pensiero: una è la public choice, che ci spiega che le scelte pubbliche vengono compiute dai decisori politici soprattutto in funzione del proseguimento dell’incarico che già rivestono, con i benefits relativi. Come si vede tutto il mondo è paese. E poi c’è la corrente di pensiero della common cause. Sorta nel 1970, è un’associazione di cittadini che si occupa del monitoraggio dei processi organizzativi della politica, con i relativi costi, diretti e indiretti.

Per queste ragioni, credo, la crisi del paese è strettamente legata ai costi della politica, e i costi della politica incidono sulle prestazioni della democrazia, diretta conseguenza delle modalità di individuazione della classe dirigente.

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