martedì 1 gennaio 2008

Il pozzo senza fondo della politica italiana (V e ultima parte)

Democrazia: ma quanto costi?


Bisogna allora dare spazio al merito e alle capacità individuali e quello che realmente conta è l’educazione alla democrazia. Nello scenario che abbiamo di fronte si pone l’inevitabile tema: riformismo o rivoluzione?

Il problema sta diventando fortemente economico. Infatti, le due rivoluzioni che hanno dato origine all’evo contemporaneo – quella americana e quella francese – sono entrambe sorte per problemi economici. La rivoluzione americana del 1778, scoppiò al grido di «No taxation, without representation». E come, e da chi, si possono sentire rappresentati i migliaia di giovani laureati che ogni mese produciamo nelle nostre università, a fronte dell’inesistenza di sbocchi occupazionali nei prossimi anni? Oppure essendo sottopagati e con prospettive di miglioramento remote, costretti ad assistere a una corte di Versailles, rappresentata dal mondo politico, che si estende oggi allo stesso modo nelle regioni che assorbono risorse in modo assolutamente ingiustificato rispetto alle prestazioni erogate? Anche lo scoppio della Rivoluzione francese ha avuto ragioni economiche e fiscali.

A Versailles, Luigi XIV aveva riunito la nobiltà soprattutto per controllarla ed evitare le fronde, ma due secoli dopo il costo era diventato eccessivo rispetto alla funzione sociale che i nobili assolvevano. Lo scontro nei prossimi anni sarà dunque tra chi i soldi allo Stato li dà e chi, invece, dallo Stato li prende.

C’è un concetto importante avanzato da Robert D. Steele che prima dell’11 settembre 2001 proponeva una riforma dell’intelligence americana, avendo già compreso che essa era assolutamente incapace di fronteggiare le nuove minacce. La prima proposta era non a caso quella di ridurre i finanziamenti ai servizi segreti, perché così le organizzazioni sono costrette a rivedere il proprio funzionamento e a ottimizzare le risorse in funzione degli effettivi risultati.

Tra l’altro la storia ci insegna che le burocrazie non si autoriformano mai da sole. E la burocrazia politica fa meno eccezione delle altre. Concludendo, esiste allora un rapporto tra costi della politica, selezione della classe politica e prestazioni della democrazia? Io credo di sì, ritengo che ci sia un rapporto, ma lo pongo in modo problematico.

Quindi, secondo me, bisognerebbe indurre, quasi costringere, a riformarsi. E chi può farlo? A mio avviso, lo può fare solo la massa di laureati che stanno uscendo e usciranno dalle università italiane. Infatti, si tratta di generazioni senza prospettive concrete, a prescindere dalla preparazione che si trovano ad avere e della quale non sono certamente responsabili ma è frutto di un sistema che privilegia i numeri rispetto alla qualità.

Sebbene complesse e incerte, si possono ipotizzare soluzioni. Gli strumenti potrebbero essere tanti: la costituzione di think tank; l’esplosione dei blog; la limitazione dei mandati alle elezioni (per i sindaci si è stabilito il numero di due ed è anche un bene, sarebbe però meglio valesse per tutti, anche perché della gran parte dei parlamentari e dei consiglieri regionali gli italiani farebbero volentieri a meno anche dopo averli visti all’opera per una sola volta: ma esprimo una semplice opinione personale); i referendum abrogativi, costringendo il legislatore a ritornare sulla norma.

Per esempio, se con un referendum aboliamo la norma che prevede il numero dei consiglieri regionali o il loro appannaggio, obblighiamo a legiferare di nuovo sull’argomento. Capisco bene che è un percorso faticoso ma è pur sempre una possibilità, un’opportunità. Occorre allora portare all’interno della politica questioni di metodo e di contenuti, e non solo di appartenenza. Infatti, oggi il problema non è destra o sinistra.

Sembra di vivere le parole che John Le Carrè, ne La spia che venne dal freddo, fa dire a uno dei suoi personaggi, riferendosi ai due blocchi occidentale e sovietico: «Siamo tutti uguali, sapete: ecco dove sta la beffa». L’impressione che spesso si ha è proprio questa, perché nei comportamenti concreti è così. Basta vedere come vengono votate le leggi che hanno determinato le distorsioni di cui abbiamo parlato, dal numero dei consiglieri regionali alle indennità dei parlamentari, dal finanziamento dei partiti a quelli sull’editoria

Diceva Enzo Biagi: «Quando si tratta di cattive figure, noi raggiungiamo quasi sempre l’unanimità».

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