mercoledì 2 gennaio 2008

Radio libere: la testimonianza di chi c'era.

Per cercare di capire la realtà attuale di internet e la possibile rivoluzione alla quale questa struttura tecnologica può portare, è bene dare uno sguardo al passato, con l'aiuto di chi all'epoca c'era. Un sentito grazie a Mauro Costa.

"Amo la radio perchè arriva dalla gente,
entra nelle case e ci parla direttamente,
e se una radio è libera, ma libera veramente,
mi piace ancor di più perchè libera la mente."

Uno dei pezzi più leggerini della vecchia produzione di Eugenio Finardi descrive perfettamente lo spirito delle radio pionieristiche Italiane. Non facciamo mai troppo caso alle denominazioni perciò, oggigiorno, se qualcuno parla di radio libera o radio privata tende ad accorparne il significato riducendoli a sinonimi.

Sbagliato! La radio "libera" di allora non aveva niente a che spartire con la radio"privata" odierna; casomai, se proprio vogliamo trovare un parallelo, la radio libera ha molta più attinenza con l'avvento dei primi siti internet; negli anni settanta, chiunque avesse un'attrezzatura ai limiti dell'osceno ed alcuni dischi faticosamente comprati o prestati da amici poteva avere il suo piccolo spazio, che sovente non andava al di fuori del recinto condominiale o poco più, per trasmettere il proprio pensiero, ma soprattutto il proprio entusiasmo.

L'effetto "macchia d'olio" fu devastante e di clamorose proporzioni. Ogni quartiere d'ogni piccola città aveva la sua radio personale e il volto del "dj" aveva le sembianze di quello di un vicino di casa o di un amico con cui avevi giocato a pallone fino il giorno prima. Chi era dotato d'apparecchiature leggermente più professionali, poteva permettersi, agli albori felici di un etere non intasato, di coprire chilometri e chilometri di spazio, raggiungendo anche zone lontane dal punto di trasmissione. La freschezza, l'entusiasmo, la "voglia di trasmettere" di queste radio erano le loro armi vincenti ma anche il loro limite, poiché alla fine degli anni settanta, chi aveva qualche idea buona doveva alla fine inevitabilmente scontrarsi con la logica di mercato.

Ecco dunque che alcune radio, foraggiate a dovere da investitori lungimiranti e dotandosi di potenti trasmettitori, riuscivano ad ottenere delle coperture territoriali importanti; l'immediato vantaggio era dato dal crescente numero d'ascoltatori che, dopo la novità di poter spaziare a piacimento tra la miriade di voci libere, andava ricercando la radio che meglio si poteva sintonizzare agendo sulla manopola della modulazione di frequenza; il prezzo da pagare era quello di dover concedere spazi sempre maggiori alla pubblicità e di modificare la voce da libera a semilibera, fino al completo stravolgimento in totale servilismo pena l'esclusione dalla creatura ideata e portata avanti con passione.

Non credete che anche oggi si possa notare lo stesso andamento con Internet?
Non è forse internet la nostra maggior espressione di libertà, ma anche il nostro maggior rischio?

A metà degli anni '70 esplose quindi l'accaparramento alla frequenza.

Persino oggi è difficile dire con assoluta certezza quale fu la prima radio libera in Italia, tanto fu generale e uniformemente distribuita in tutta la penisola l'esigenza di far sentire la propria voce; una vecchia edizione del Corriere della Sera, riportando la notizia in bell'evidenza, ci soccorre nella nostra ricerca cronologica: "Ieri prima trasmissione di una radio clandestina.

L'emittente si chiama Milano International ...." (Corriere della Sera - 11.03.75); ed è sempre un giornale a tiratura nazionale che c'informa che queste radio libere davano un enorme fastidio al governo di allora, ma anche all'opposizione: "Sequestrata dal pretore di Milano Radio Milano International.

La prima emittente radiofonica milanese trasmetteva dal 10 marzo. Ieri irruzione di una squadra dell'Escopost nella sede della stazione. Le operazioni di disattivazione seguite in diretta da migliaia di radioascoltatori". (La notte - 14.04.75); infine la prima sentenza di assoluzione che legittima, senza possibilità di appello pena un gran bagno di sangue, che le radio libere potevano far sentire la loro voce: "Assolta Radio Milano International. Legittima la produzione di programmi privati". (La Stampa - 26.04.75).

Tutto questo in poco più di un mese di tempo, un vero record se ben andiamo a vedere! Fermare le voci "libere" di allora sarebbe stata una dichiarazione d'impotenza da parte del nostro stato, già tanto provato dal terrorismo e da scandali giornalieri; come giustamente rileva Giorgio Gaber in un suo lavoro teatrale del 1972: "..la libertà di espressione è la misura della loro potenza: ti lasciano il tuo spazio libero, quello che chiamano libertà, senza che si abbia la possibilità di modificare o sovvertire qualcosa; in altre parole: non si riesce mai a dar fastidio a nessuno!"

Qualche radio però, in realtà, cominciava a dare fastidio a molti non trovando appoggi né al centro e nemmeno a sinistra perché la sinistra stessa aveva paura di un informazione così tanto libera da spianare una comoda strada all'ingresso di ulteriori padroni ,come, in effetti, accadde in seguito con la lottizzazione delle frequenze e il progressivo sfruttamento commerciale del prodotto già confezionato e gratuitamente distribuito; soprattutto però il PCI aveva timore che una voce troppo libera e incontrollata poteva cominciare a corrodere quella sicurezza di potersi identificare come unico punto di riferimento a difesa delle classi proletarie italiane.

A pagare per tutti fu una radio bolognese, la meno difendibile, la più anarchica, incontrollabile persino all'interno di se stessa: Radio Alice. I giornali dell'epoca riportarono la notizia con la dovuta enfasi, rilevando persino un velato tentativo di golpe dittatoriale: 12 marzo 1977. Finisce con l'irruzione dei carabinieri la breve storia di Radio Alice, accusata di aver diretto via etere gli scontri di Bologna. Due anni appena è durata la vita della più celebre "radio libera" italiana, ma sono due anni che lasciano il segno. È la prima (e unica) volta, nella storia dell'Italia repubblicana, che una testata editoriale viene chiusa manu militari".

Per zittire, quindi, una voce libera, la si poteva solamente accusare di fomentare il terrorismo, unica motivazione per non suscitare lo sdegno popolare. Persino oggi è difficile poter dire cosa fosse realmente Radio Alice: non aveva una vera e propria redazione, ma soprattutto non aveva un padrone identificabile con un nome e un cognome; chiunque avesse qualcosa, o anche niente da dire, poteva appropriarsi del microfono, del trasmettitore e fare un comunicato delirante, piuttosto che un assolo di sax, una dichiarazione d'amore alla fidanzata o a Elvis Presley, semplicemente leggere una poesia o persino stare in silenzio di fronte al microfono.

Non c'era alcun limite, alcun moderatore, alcun autocontrollo, alcuna censura. Questa radio, dava molto più fastidio di tutte le altre messe insieme. La si ridusse al silenzio quella notte del 12 marzo 1977 e si scomodarono, la stessa notte, persino i carroarmati per controllare il centro di Bologna ; la prima volta nella storia dell'Italia Repubblicana che una "testata" d'informazione viene chiusa dalle forze dell'ordine. Roba da brividi, a pensarci bene.

L'anarchica Radio Alice ebbe certamente proseliti, ma questo è solo un piccolo microcosmo nel meraviglioso universo tessuto unicamente della "sensazione di poter far tutto" che si respirava in quegli anni. Ognuno poteva provarci, in fondo, bastavano una voce, quattro dischi, qualche idea....

Avevo un mio piccolo spazio notturno nella seconda metà degli anni '70 in una piccola, ma puntualmente ambiziosa radio genovese, con una trasmissione musicale di circa un'ora e mezza che cominciava alle 22, cinque giorni la settimana, weekend escluso. Avevo modellato il programma in conformità a Popoff, ma trasmettevo solo musica progressiva o cantautoriale; una volta al mese stilavo la mia personale controclassifica inerente alle nuove uscite degli album che mi andavano a genio, sordo a tutte le tendenze del momento.

Mi piaceva tradurre le liriche degli artisti stranieri che spesso declamavo prima dell'inizio del brano, ma allo stesso tempo mantenevo un tono di voce molto rilassante, tranquillo, notturno; ricevevo molte telefonate, ma non ne passavo alcuna in diretta, non accettavo dediche per chicchessia neanche se erano amici carissimi e soprattutto non mettevo pezzi a richiesta.

La mia libertà era quella: il programma era il mio, prendere o lasciare, nessun compromesso, altrimenti si poteva girare la rotellina della radio e nello spazio di due millimetri una voce più suadente, gioiosa e professionale della mia avrebbe diversamente allietato la notte dell'ascoltatore.

Avevo il classico "zoccolo duro" che seguiva costantemente il programma, ma la totale decadenza del rock progressivo e la mia cocciutaggine poco incline al compromesso non consentivano alla trasmissione di decollare. Una sera mi convocarono prima dell'inizio della trasmissione e mi dissero: " Pensiamo che potresti mettere qualche pezzo più commerciale di tanto in tanto, che facessi qualche dedica prendendo telefonate in diretta, eppoi, soprattutto, ogni mezz'ora dovrebbero partire due o tre jingle, che ne dici?"
"Dico no, ma vorrei sapere se è un consiglio o un'imposizione" chiesi sapendo già la risposta.
"E' un'imposizione, ci spiace".

La sigla finale della mia trasmissione era Pink Moon di Nick Drake che, all'epoca, non potevo prevedere sarebbe stata degradata di lì a poco anch'essa a jingle pubblicitario; l'avevo scelta perché, oltre ad essere un splendido brano, rappresentava l'ostinazione di un artista al rifiuto del compromesso ad ogni costo, fino a pagare con la vita il fatto stesso di essere nato in un mondo dove non si riconosceva: con che faccia avrei potuto accettare quello stravolgimento redazionale?

"Benissimo" risposi non senza amarezza" allora quella di stasera sarà la mia ultima volta, ma manterrò fino in fondo la struttura originale del programma". Credo in tutta onestà, oggi, di poter ammettere che a stento ho trattenuto un gran magone sulle note finali di Pink Moon quella notte.

Non era per la mia trasmissione, non era per la memoria del grande Nick Drake e nemmeno per il menefreghismo e l'insensibilità dei proprietari (all'epoca ero troppo giovane per capire che i soldi non danno la felicità, ma comunque la sfiorano e soprattutto possono fortemente minare un'amicizia); ero frustrato perché pagavo sulla mia pelle la trasformazione in un network commerciale di quella radio, che era anche la "mia" radio, nata con ben altri propositi. Eppoi c'è ancora qualcuno che pensa che "libera" e "privata", riferiti ad una stazione radiofonica, siano solamente due modi di dire la medesima cosa.

"L'ho visto scritto e l'ho sentito dire
la luna rosa è in arrivo
e nessuno di voi può arrivare così in alto
la luna rosa vi prenderà tutti quanti".
(Pink Moon by Nick Drake)

Mauro Costa

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